Carlo Gesualdo nacque a Venosa (PZ) nacque l'8 marzo 1566 da Fabrizio II e Geronima Borromeo sorella di San Carlo.
(lo testimoniano due lettere custodite presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano).
Era il primo nato dopo che il Casato era stato insignito del titolo di "Principe di Venosa", la città dei propri avi.
Infatti i Gesualdo, di origine normanna, vantavano una discendenza da Roberto il Guiscardo e a Venosa c'è il famedio dei primi conti normanni di Puglia.
All'età di 19 anni Gesualdo pubblicò il primo mottetto "Ne reminiscaris, Dominle, delicta nostra" (Perdona, Signore, i nostri peccati) dimostrando fin da giovane una passione enorme per la musica tale da farlo divenire, uno dei più illustri madrigalisti di ogni tempo apprezzato in tutto il mondo.
Grande appassionato di caccia, fu musicista raffinatissimo innovatore ed eccezionale precursore della musica moderna "onorato e ossequiato dagli uomini di cultura di mezzo mondo".
Nel 1586 sposò la cugina Maria d'Avalos, nata nel 1560 da Carlo, conte di Montesarchio, e da Sveva Gesualdo.
Il matrimonio avvenne nel maggio del 1586 con dispensa del Papa Sisto V, nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli che era situata vicino al palazzo dove abitava la famiglia Gesualdo.
Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Dal matrimonio nacque Emanuele.
La vita scorreva tranquilla, ma un dì, durante una festa da ballo, Maria conobbe il duca d'Andria e conte di Ruvo Fabrizio Carafa. Fu subito amore..., benché anche questi fosse sposato con Maria Carafa e padre di quattro figli.
I due superavano ogni ostacolo pur di incontrarsi e non seppero uscire dal ruolo di amanti predestinati. Nello stesso tempo non si riconoscevano colpevoli, perché per loro era vero amore, un amore talmente grande da poter affrontare anche la morte, come poi fecero, …omissis…, dimostrando con tale gesto che da un lato si trattava di vero amore e dall'altro di scegliere la voglia di purificarsi immolandosi per amore: non suicidandosi, ma facendosi ammazzare per amore. In questo modo l'alto senso dell'onore col martirio ne esce invitto e incontaminato, compreso quello del Gesualdo. Quindi gli amanti continuano ad incontrarsi, perfino in casa Gesualdo, nell'attesa di una vendetta che ormai entrambi sanno covata e meditata dal principe.
Leggi "AMORE E BELLEZZA NELLA TRAGICA FINE DELLA PRINCIPESSA MARIA D'AVALOS" di Angelo Di Lieto
Il 16 ottobre 1590 il principe avvertì Maria che, insieme ad alcuni suoi servi, sarebbe andato a caccia nel bosco degli Astroni, restando lontano per due giorni. Nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590 i due amanti vennero colti in flagrante adulterio nella camera da letto di Maria e barbaramente trucidati. Furono probabilmente le interessate delazioni che imponevano l'obbligo di "vendicare" col sangue l'offesa fatta al suo nome che spinsero il principe Carlo a compiere il delitto di Palazzo San Severo. Le circostanze lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo, tanto che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò immediatamente a dare notizia personalmente dell'accaduto, lo esortò ad allontanarsi da Napoli alla volta del suo castello di Gesualdo, non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi.
Carlo rimase a Gesualdo finché non si fu accertato che il risentimento delle famiglie dei d'Avalos e dei Carafa si fosse sedato. In questo periodo, per sentirsi sicuro da eventuali attacchi di forze nemiche, per avere un orizzonte più libero e vasto, si ritiene che abbia ordinato il taglio di un intero bosco di querce e di abeti che ammantavano di verde la collina prospiciente il castello.
Tutto ciò non gli restituì la serenità che oramai avrà perso per sempre, perché non c'è nessun testimone così terribile, nessun accusatore così implacabile come la coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.
Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio si reca, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio con Eleonora d'Este.
L'interesse al matrimonio era soprattutto di casa d'Este; infatti Alfonso II mirava ad ottenere l'appoggio dello zio di Carlo, il potente cardinale decano Alfonso Gesualdo, probabilmente futuro Papa, nella speranza, risultata poi vana, che il suddetto cardinale intervenisse a favore della Casa d'Este qualora il ducato di Ferrara, per mancanza di eredi, fosse dovuto essere riannesso al dominio della Chiesa.
Al principe e al suo seguito andò incontro il conte Alfonso Fontanelli inviato dal duca di Ferrara Alfonso Il d'Este. All'occhio acuto ed ironico del diplomatico di casa d'Este e dilettante di musica il principe Gesualdo apparve "di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, e pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco. Si anima per discorrere con irrefrenabile loquacità di musica e di caccia; si sforza dovunque vada di far eseguire ed eseguire egli stesso musica, pronto se manchi un cantore a partecipare all'esecuzione dei propri madrigali, dei quali discorre diffusamente, additando all'interlocutore i passi più notevoli per invenzione o artifizio; ama suonare il liuto e la chitarra spagnola e lo fa con gran maestria e con intensità espressiva sottolineata dal continuo atteggiare e muoversi".
Il rapporto del diplomatico-musicista traccia di Gesualdo un ritratto più vivo rispetto alla sbiadita immagine di donatore assistito dalla figura dello zio Carlo Borromeo che appare nella pala d'altare della chiesa di S. Maria delle Grazie di Gesualdo.
Il 21 febbraio 1594 sposò Eleonora d'Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II. Eleonora donò allo sposo un'opera d'arte: un'armatura cavalleresca mirabilmente cesellata dal più grande maestro armaiolo dell'epoca Pompeo della Casa, che oggi è esposta al museo di Konopiste, a Praga. Da Ferrara gli sposi passarono a Venezia. Di qui per mare raggiunsero a metà agosto Barletta, per condursi a Gesualdo. Durante la sua dimora a Gesualdo il principe si occupava molto di caccia e di musica. Poiché Eleonora era incinta, nel dicembre dello stesso anno 1594 ritornarono a Ferrara dove rimasero per circa due anni. A Ferrara Carlo non riuscì a legare con l'Accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del tempo che non gli permise di recitare il ruolo di "primo attore". Pertanto decise di ritornare a Napoli lasciando a Ferrara la moglie e il piccolo Alfonsino che da lei aveva avuto. Ma temendo ancora la vendetta delle potenti famiglie d'Avalos e Carafa, si ritirò definitivamente, nel mese di giugno del 1596, nel castello di Gesualdo, fatto ristrutturare tempo addietro. Il castello aveva perso il rude aspetto di fortezza e divenne una bellissima dimora capace di accogliere una fastosa corte canora nel vago e vano tentativo di emulare quella di Ferrara.
Durante questo lungo periodo (17 anni), più di un terzo della vita di Carlo, Gesualdo godette della magnificenza del principe che, per cercare la pace dell'anima e il perdono di Dio, fra tante altre opere, fece edificare tre chiese e due conventi: uno per i Domenicani e uno per i Cappuccini.
Il convento dei Domenicani comprende la chiesa del SS. Rosario, ristrutturata per i danni subiti dal sisma del 23 novembre 1980, e le case che sono alle sue spalle passate da tempo nelle mani di privati.
Il convento dei Cappuccini, comprende invece un edificio (gravemente danneggiato dal sisma del 23 novembre 1980, ristrutturato ed inaugurato il 6 giugno 2004), un grande giardino e la chiesa di S. Maria delle Grazie nella quale si trova l'imponente tela (481cm x 310 cm) intitolata "Il perdono di Carlo Gesualdo", di Giovanni Balducci e aiuti, 1609.
Nell'ambiente gesualdino fatto di pace, serenità, di aria pulita e profumata, di panorami vastissimi e di boschi per la caccia, il principe potette dedicarsi completamente alla musica, per cui oltre ai 4 libri di Madrigali già pubblicati, compose altri 2 libri che fece stampare nel 1611 a Gesualdo nella tipografia che il tipografo Gian Giacomo Carlino installò nel castello. Compose inoltre altri Mottetti, un libro di Responsori, un Benedictus, un Miserere, un libro di Sacrae Cantiones a cinque voci e uno a sei voci composte "con artifizio singolare e per sommo diletto degli animi induriti".
Sulla musica di questo grande musicista, si è commesso, e molti continuano a commettere, l'errore di interpretare la musica di Gesualdo in termini autobiografici, limitati ad alcuni episodi, ed in particolare al tradimento ed all'assassinio della prima moglie. Egli fu certamente uno spirito introverso, tormentato e nevropatico; la vita non gli diede molte gioie e lo colpì con sofferenze fisiche e psichiche, con delusioni, con perdite dolorose. Ma non bisogna lasciarsi ingannare..., non bisogna dimenticare che Carlo era secondogenito (v. albero genealogico) e che aveva avuto una rigida educazione religiosa e musicale. Inoltre era nipote di due cardinali, di cui uno poi santo, e il padre, discreto letterato e amante della musica, era molto legato ai Gesuiti ed era mecenate dei musici napoletani più famosi di quel tempo.
Nell'ultimo periodo della sua vita, Gesualdo abbandonò la musica profana del madrigale per dedicarsi completamente alla musica sacra. "A parte ogni movente di pia edificazione (e forse... di personale espiazione), c'è nel rivolgersi alla composizione religiosa un preciso intento estetico, ... più spesso giustificato dai concetti sempre ricorrenti di perdono, di speranza, di ardore, di trionfo.... Nel suo operare è chiaro un atteggiamento espressionistico che chiarisce un'altra ragione delle sue scelte antiletterarie: non serva, ma compagna dell'orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell'anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature il fervore disperato della speranza..." e del perdono.
Pentito per il duplice assassinio, attanagliato dal rimorso, afflitto da emicranie e da atonia intestinale, il principe visse momenti di ansia tremenda. Il 20 agosto 1613 gli giunse da Venosa (PZ) la notizia della morte accidentale dell'unico erede Emanuele. Carlo fu sopraffatto. Si ritirò in un camerino del castello di Gesualdo, "contiguo alla sua camera del zembalo" e dopo pochi giorni, l'8 settembre, rese, anch'egli, l'anima a Dio, trovando questa volta la pace per sempre e... il perdono tanto sospirati.
Le spoglie del principe mecenate e musicista ufficialmente riposano a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo ai piedi della sontuosa cappella di S. Ignazio, dalla sua famiglia eretta e ove tuttora si legge l'iscrizione che ne ricorda il suo nome. Tuttavia recenti studi sembrerebbero indicare come luogo di reale sepoltura la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Gesualdo, sotto il pavimento della cappella dedicata alla Madonna.
Opere
1594: Madrigali libro primo (a 5 voci)
1594: Madrigali libro secondo (a 5 voci)
1595: Madrigali libro terzo (a 5 voci)
1596: Madrigali libro quarto (a 5 voci)
1603: Sacrarum cantionum liber primus, 21 Motetti (a 5 voci)
1603: Sacrarum cantionum liber secundus, 20 Motetti (a 6-7 voci)
1611: Madrigali libro quinto (a 5 voci)
1611: Madrigali libro sesto (a 5 voci)
1611: Responsoria et alia ad Officium Hebdomadae Sanctae spectantia (a 6 voci)
1626: Madrigali libro settimo (a 6 voci, scomparso).
E' giallo sulla sepoltura del principe musicista
da laRepubblica 23/09/2005 di Vera Mocella
Sembra la trama di un noir storico.
Le spoglie del principe di Venosa, Carlo Gesualdo, sarebbero custodite nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Gesualdo (Avellino), e non nella chiesa del Gesù Nuovo, a Napoli, come si era creduto finora. Una tesi che emerge dai documenti che provengono dal Grande Archivio di Napoli, dall'Archivio di Stato di Potenza, dall'Archivio segreto del Vaticano, da estratti stampa dell' ordine dei Gesuiti e dall' Archivio parrocchiale di Calitri.
La tesi è sostenuta con forza da Annibale Cogliano, studioso del «Centro Studi e documentazione Carlo Gesualdo». Lo storico è riuscito a ritrovare i documenti che testimonierebbero che il corpo del principe, morto l' 8 settembre del 1613, non sarebbe mai stato trasferito nella cappella di Sant' Ignazio del Gesù Nuovo, come aveva chiesto nelle sue volontà testamentarie. Sotto la lapide funeraria non sarebbe sepolto Gesualdo, passato alla storia anche per un drammatico fatto di sangue: il delitto della bellissima moglie, Maria d' Avalos, e del suo amante, Fabrizio Carafa, avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590. Le cronache dell' epoca raccontano di un delitto di inaudita ferocia. La servitù del principe ebbe l' ordine di non toccare, per giorni, nulla dello scenario che si presentava sulle scale di Palazzo Sansevero: il corpo di Maria nudo, sporco di sangue, ingiuriato dalle numerose coltellate inferte dagli sgherri del principe, riverso sulle scale. E quello dell' amante, Fabrizio, sfigurato dai colpi di schioppo dei suoi assassini e abbandonato nel buio maniero. Per 17 anni, Gesualdo si nascose nel suo feudo irpino per sfuggire alla vendetta dalla famiglia D' Avalos e dei potenti Carafa. Nella vasta letteratura nata intorno al caso del principe assassino, nipote diretto di Carlo Borromeo, da alcuni considerato il più grande madrigalista italiano mai esistito, il giallo sembrava circondare, fino a ieri, solo la sepoltura dei due sventurati amanti, probabilmente fatti gettare dal principe in una fossa comune. Ma l' enigma adesso s' infittisce: si tratta di scoprire dove realmente siano le spoglie del principe di Venosa.
La tesi della sepoltura a Gesualdo, ha dato origine a una vera «sfida» tra due opposte scuole di pensiero e due diverse «fazioni»: quella che sostiene che il principe sia sepolto in terra partenopea, e l' altra che ritiene, invece, Gesualdo sepolto nelle terre del suo feudo irpino. Ma c' è un altro mistero. Nel suo testamento, Gesualdo aveva chiesto di essere sepolto non più tardi di cinque anni dopo la sua morte, avvenuta l' 8 settembre del 1613. La cappella di Sant'Ignazio, invece, sarebbe stata ultimata solo trent' anni dopo, e l' iscrizione sepolcrale risalirebbe addirittura al 1688, a distanza di quasi un secolo.
Brilla ancora l'armatura del principe assassino
Fu il dono di nozze di Eleonora d'Este a Carlo Gesualdo da Venosa. Lui era musicista, ma aveva già ucciso per onore la prima moglie e il suo amante.
La Stampa del 08/09/2010 di ALBERTO MATTIOLI
I musei sono luoghi pieni di storia, ma anche di storie. In questa serie proviamo a raccontarle a partire da un oggetto, foss'anche un piccolo pezzo che pochi guardano. Basta lasciarlo parlare.
KONOPISTE
Se un giorno d'estate un viaggiatore si trovasse a passare dal castello di Konopiste, 50 chilometri a Sud-Est di Praga, farebbe una curiosa scoperta. Il castello è un pesante rifacimento ottocentesco, con gallerie tappezzate delle corna di migliaia di cervi che ebbero la sventura di trovarsi dalla parte sbagliata di una canna di fucile e soffocanti salotti e salottini vittoriani arredati all'insegna del più ce n'è e meglio è. Della grande attrazione bellépochiana del castello, i celebri roseti, resta poco. Ma, in mezzo al bric-à-brac, il turista avvertito troverà ciò che vale il viaggio. Si tratta di un'armatura «per giostrare alla palanca» che fu realizzata a fine Cinquecento da un grande artista, l'armoraro milanese Pompeo della Cesa (1537 circa - 1610) per un altro, il musicista Carlo Gesualdo (1566-1613).
Che cosa ci faccia in un castello boemo è l'oggetto di questa storia, in cui compaiono un principe assassino, un altro assassinato, un delitto d'onore e uno politico, molti madrigali, un grande matrimonio, la nascita dell'Italia unita e quella della Cecoslovacchia. Il protagonista è Carlo Gesualdo, principe di Venosa, grande nobiltà meridionale, nipote di San Carlo Borromeo. E, soprattutto, uno dei massimi musicisti italiani della sua epoca e non solo di quella. Nei suoi madrigali, l'ultima grande stagione della polifonia sprofonda in complessità abissali, audacie armoniche, cromatismi allucinatori.
Gesualdo è un musicista «da musicisti», forse, più che da grande pubblico. Ma, senza dubbio, un grandissimo musicista. Tant'è: per tutti, rimane il principe assassino del delitto del secolo, protagonista cattivo di una storia d'amore e di morte cantata dal Tasso («Piangi, Napoli mesta, in bruno ammanto / Di beltà, di virtù l'oscuro occaso / E in lutto l'armonia rivolga il canto») ma anche nei lamenti popolari. Fra la prima moglie di Gesualdo, Maria d'Avalos, e Fabrizio Carafa, duca d'Andria, giovani bellissimi e innamoratissimi, nacque la più clamorosa relazione extraconiugale del secolo. Finché, un brutto giorno, il 16 ottobre 1590, il marito cornuto, che non poteva più fingere di non vedere, simulò di partire per la caccia, lasciò che la moglie ricevesse l'amante e, in una notte di tregenda, li fece sorprendere dai suoi bravi e trucidare in un lago di sangue. Fra i compianti cantati dalla plebe napoletana, sempre sentimentale, fiorirono le leggende: come quella dei due amanti che sanno di dover morire e aspettano i colpi abbracciati pregando insieme Dio di perdonare e di perdonarli; o quella del principe che ucciderli non vorrebbe, ma viene costretto dalle pressioni della famiglia ferita nell'onore. Mistero.
Quel ch'è certo è che nel day after Carlo Gesualdo andò a confessare dal viceré spagnolo Miranda, che gli consigliò di lasciare Napoli per sfuggire non alla giustizia, poiché ovviamente il suo delitto era nel suo diritto, ma alla vendetta delle famiglie degli uccisi. Però la politica, anche quella matrimoniale, ha le sue ragioni. Quattro anni dopo, il 21 febbraio 1594, Carlo Gesualdo sposò Eleonora d'Este, nipote di Alfonso II, duca di Ferrara. Il regalo di lei a lui è, appunto, l'armatura di Konopiste. La sua decorazione all'acquaforte è lussureggiante. Ci sono grifoni, delfini, putti, leoni, sfingi, sirene, faretre, frecce, personaggi mitologici e personificazioni di virtù e grazie, come se l'Iconologia di Cesare Ripa, breviario dell'allegoria barocca, fosse stampata sull'acciaio. Alla passione di Carlo alludono trombe, tromboni, tamburi, arpe e liuti, risuonanti a maggior gloria del «Musicorum Princeps», il principe dei musici. In più, c'è un rebus musicale per iniziati, un piccolo pentagramma con due sole note. Sono un mi e un sol: nella notazione alfabetica, una «e» ed una «g». Come Este e Gesualdo, le casate unite dall'amore. O almeno dal matrimonio.
Carlo passò gli ultimi anni nel suo feudo meridionale a scrivere madrigali e fondare conventi. Per la famiglia della moglie non furono tempi facili. Nel 1598, dopo l'estinzione del ramo principale degli Este, il tosto pontefice Clemente VIII Aldobrandini, quello che mandò al rogo Giordano Bruno e al patibolo Beatrice Cenci, rivendicò Ferrara, feudo ecclesiastico. Gli Este dovettero traslocare a Modena, feudo imperiale, con le loro favolose collezioni. Qui regnarono fino al Risorgimento.
Nel frattempo, erano diventati Absburgo-Este da quando l'ultima erede della famiglia sposò uno degli innumerevoli figli di Maria Teresa, mentre le collezioni erano un po' meno favolose dopo la sciagurata vendita dei quadri migliori all'elettore di Sassonia. Quando, nel 1859, arrivarono i piemontesi, l'ultimo duca, Francesco V (1819-1875) se ne andò in esilio, ovviamente in Austria, portandosi dietro tutto quel che poté, compresa l'armatura di Carlo. Senza eredi maschi, decise di lasciare tutto a un altro Absburgo, l'arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe, con un complicatissimo testamento nel quale condizionava l'eredità al fatto che l'arciduca assumesse il nome di Absburgo-Este. Francesco Ferdinando titubò, perché nella hit parade dei suoi odii, dopo gli arcidetestatissimi ungheresi, venivano subito gli italiani, che chiamava spregiativamente «Katzelmacher», fabbricanti di mestoli.
Ma il patrimonio era ingente e comprendeva, oltre a un bel palazzo viennese, appunto Palazzo Modena, che oggi ospita il ministero degli Interni austriaco, anche le collezioni. Così Francesco Ferdinando accettò, si chiamò Absburgo-Este, comprò Konopiste e ci portò gli objets d'art degli Este, armatura di Gesualdo compresa. Nel castello si dedicava a due delle sue tre passioni, la caccia e le rose. La terza era ovviamente la moglie, una contessa Sophie Chotek, nobile sì, ma non abbastanza per poter regnare con lui. Comunque il problema non si pose perché, come sanno perfino i liceali italiani, Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo il 28 giugno 1914, scatenando la Prima guerra mondiale al termine della quale la neonata Cecoslovacchia debuttò sequestrando subito i beni dell'ex famiglia regnante. Incluso Konopiste e tutto quel che c'era dentro. Oggi è morta anche la Cecoslovacchia.
Ma l'armatura realizzata a Milano per un principe napoletano che si sposava a Ferrara è sempre lì, in un castello boemo, nel suo incanto scintillante. A dirci che la storia passa, le dinastie tramontano, i regni cadono, ma la bellezza resta. O almeno speriamo.
Le dolorose armonie del madrigalista assassino hanno segnato la storia di sfumature e riflessi assai suggestivi che hanno affascinato artisti e storici, ispirato e fatto riflettere.
Il destino del Principe, lungo i secoli, ha alimentato leggende seicentesche ed intere epopee di cantastorie. E mentre la beltà tenebrosa della sua musica ha avvinto compositori come Wagner e Mahler, l' eco del personaggio è affiorata in scrittori come Anatole France e Victor Hugo. Adorato da Stravinskij, che nel 1960 scrisse Monumentum pro Gesualdo, fu anche un idolo del pianista Glenn Gould, che gli rese omaggio in un testo incluso nella raccolta L' ala del turbine intelligente (Adelphi).
E affascinò il regista Werner Herzog, che nel ' 95, per la tivù tedesca Zdf, firmò il documentario Morte a cinque voci, scandito da interviste a testimoni ideali del viaggio esistenziale e creativo di Gesualdo, dal custode del palazzo di Gesualdo fino a Giovanni Giudici, che ha scritto per Sellerio una biografia romanzata di successo. Con ostinato e tormentato fervore, pensò a Gesualdo Bernardo Bertolucci, per il film, mai realizzato Heaven and Hell, "Paradiso e Inferno". La sceneggiatura venne affidata a Mark People, e per il ruolo del protagonista si pensò a Johnny Deep. Diceva il regista: «Mi attrae la sorte quasi coatta che unisce i massimi artisti d' avanguardia, condannati a vedere troppo in anticipo quel che accadrà nel loro linguaggio. Gesualdo, con la sua furia profetica, mi sconvolse fin dal primo ascolto. Iniziai con i madrigali, poi scoprii la musica sacra. Esperienza portatrice di emozioni quasi espressioniste. Mi pareva, a tratti, di ascoltare il Wozzeck di Alban Berg».
Le profezie di Gesualdo catturarono intanto Claudio Abbado, che, negli ultimi anni della sua vita, inseguì con passione gli svelamenti del madrigalista. Il culto di Gesualdo, d' altra parte, sospinge molti grandi musicisti del nostro tempo: compositore irrinunciabile nei programmi delle rassegne curate in queste ultime stagioni da Maurizio Pollini, Gesualdo fu molto amato anche da Luigi Nono. E ispirò un' opera di Alfred Schnittke, andata in scena a Vienna nel 1995, con la direzione di Rostropovich.
Frequentatore assiduo di Gesualdo è pure Salvatore Sciarrino, che ha firmato le musiche della Terribile e spaventosa storia del Principe di Venosa e della bella Maria, azione drammatica per pupi siciliani, e de Le voci sottovetro, lavoro per mezzosoprano e strumenti basato su quattro creazioni vocali e strumentali gesualdiane, sottoposte a quelle che Sciarrino definisce «rielaborazioni licenziose». La radice di questa fascinazione collettiva ha molte strade. Oltre a stregare con la malìa dolente e fosca della sua musica («suoni come bruciature e accordi come lame di coltello», si esalta Sciarrino), l' inquietante principe cinquecentesco incarna una parabola che rende irresistibile in senso gotico il suo personaggio.
L'estroso Franco Battiato ne sublimò l'essenza nella struggente melodia della Canzone Gesualdo da Venosa del 1995. Pino Daniele si immerse nelle suggestioni della Polifonia Gesualdiana interpretando i madrigali del Principe nel fortunato album Medina del 2001. Roberto De Simone, regista teatrale e musicologo conduce studi e rilancia il culto gesualdinano nel mondo.
Vari i Consort vocali sorti in giro per l'Europa, da Londra a Copenaghen, fanno risuonare Gesualdo di mille voci e in mille stili.
Davanti a tanta attenzione e interesse la piccola Comunità di Gesualdo onora e rilancia il mito del Principe con iniziative culturali e concerti che raccolgono sempre grande consenso e partecipazione per raffinatezza ed elevato spessore culturale.
Nel 2019, lo scrittore Alberto Tarabbia vince il prestigioso premio Campiello con il romanzo "Madrigale senza suono"
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